Andiamo a giocare. Corriamo a perdifiato e ridiamo all’infinito di un filo d’erba, delle nuvole, dell’estate. Riempiamoci la pancia di scoperte, assaporiamo la gioia del niente. Infiliamoci in ogni fessura e arrampichiamoci fino in cima all’albero più alto, per gridare verso il cielo quanto siamo felici.
Poi i giorni in cui ci tendiamo la mano. Quelli in cui parliamo senza parole e ci abbracciamo senza toccarci. Come le lucertole al sole, ci avviciniamo piano per poi lasciarci di nuovo e scappare all’ombra delle nostre certezze. Forse è così che deve essere: una reciprocità incostante, paziente, senza regole.
Potrei passare una giornata intera a elencarti le cose che vorrei, come indumenti appesi ad asciugare su un filo. Piccoli sogni di carezze, di parole sussurrate, di baci e di risate. Ma tu non ci sei, e io ripiego le magliette stropicciate, senza voglia di stirare o di indossarle.
Ripassare a memoria ogni intenzione, ogni frase, ogni azione. Poi incontrarti e non riuscire a fare altro che toccarti, e sconfessare tutto.
Giorni di cui non vedi la fine. Assolati, malinconici, sempre uguali di domande senza risposta. Di risposte bugiarde, labirintiche, impossibili. Di mancanze dolorose, di stupide idee e delusioni.
C’è una pece che non vedi attraverso, e una stanchezza nelle ossa da umido vecchio mesi. Lo so che non puoi capire, che ti pare tutto strano. Ma fidati, seguimi in questo gomitolo intricato, in questo paese complicato che si chiama come me. Perché io ho ragione, e se chiudi gli occhi lo sai.
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